3rd

Aprile

Filippo Timi da Skianto

C’è un buco gigante che spacca a metà la scenografia de Gli Innamorati, classica rappresentazione di Goldoni in scena nella Sala Grande del Teatro Franco Parenti. Da quel buco, a orari alterni, spunta un surreale Filippo Timi che, in pigiama, racconta la storia della sua vita, almeno così sembra, ma in maniera esagerata come solo i suoi spettacoli sanno essere. Il risultato? Uno Skianto.

TEATRO QUEER – Mezzo cieco, balbuziente, sessualmente confuso, l’attore e regista non ha paura di tartagliare un monologo sul difficile tema dell’handicap e lo fa con tutti quei ridolini e quelle trombette che lo contraddistinguono, elementi di un carnevale così queer con cui lo stesso Timi ha reso pop e kitsch, in passato, Shakespeare o il Don Giovanni. Adesso tocca alla vita di un ragazzo nato con la scatola cranica sigillata, portatore di handicap, che si lamenta del suo taglio di capelli osceno, che veste una canotta con Topolino, che si trasforma in un unicorno (rosa fluo e dalla coda rainbow, ça va sans dire) e che spera di avere una fidanzatina, anche con i baffi, purché sia una. Consapevole di vivere in una gabbia d’oro, sì, ma pur sempre in una gabbia, dove non riesce a esprimere a parole cosa pensa.

TEATRO IMPAZZITO – Sul palco anche la voce e la chitarra di Andrea Di Donna, talento da pelle d’oca. L’artista esibisce una colonna sonora malinconica che quasi rievoca, per l’atmosfera, film tormentati come Into the Wild o This Must be the Place di Sorrentino. La sua voce ricorda Cat Stevens, la sua attitudine sembra celebrare Damien Rice (a fine rappresentazione riesce a rendere aulica persino Baby one more time di Britney Spears, ho detto tutto). Poi le immagini di Candy Candy incorniciate da un gioco di luci a pois che tanto fanno pensare alla migliore applicazione di collage per le foto su Instagram. Un carnevale, appunto, che scoppia alla ricerca di un perché non si è come tutti gli altri, domanda a cui si tenta di rispondere con una spassosa parodia di Gina Lollobrigida. Fate voi, la pazzia.

TEATRO DA APPLAUDIRE – Ridere fa bene, anche di un tema così spinoso, se fatto con quella saggezza che esplode alla fine. Quando Filippo Timi, tra pensieri struggenti, riprende quei movimenti così spigolosi, come un quadro di Picasso, che l’autismo provoca inevitabilmente, anche solo per comunicare uno stato d’animo qualsiasi, ma va’ a sapere quale. Timi è sempre lui, artista accentratore e consapevole del suo talento, la cosa non infastidisce però quando il tema, e la sua espressione, sono così toccanti. Inevitabili gli applausi.

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