8th

Maggio

Intervista a Marco Grassi

Marco Grassi, in arte GRAMA, è un pittore brianzolo le cui opere sono andate ben oltre le luci e i colori incantevoli della sua “regione”. Ha esposto a Roma, Milano, Parigi, riuscendo a emozionare attraverso i suoi ritratti di donne sensuali e timide, sfrontate e innocenti. Dichiara un’indistruttibile dipendenza dalla pittura, di cui parla con semplicità e trasporto. 

Puoi darci le “coordinate” della tua opera? Quali sono le costanti che possiamo trovarci?
“Il mio soggetto prediletto è la figura umana. Analizzo pezzi di corpo, volti femminili, che prendono fomra in quelle che diventano poi vere e proprie serie. Comincio sempre a lavorare partendo da volti reali, persone che ho incontrato nei posti più disparati. C’è stato un periodo in cui dipingevo ritratti di adolescenti, poi mi sono stancato di tutta quell’innocenza e allora ho cominciato a girare per locali e discoteche, alla ricerca di figure più erotiche e sensuali. La costante del mio lavoro è la ricerca non di una bellezza perfetta, ma dell’espressività”.

Un’altra costante delle tue opere è l’uso espressivo del colore, scorrendo le immagini dei tuoi dipinti si trova di tutto o quasi.
“Ho spaziato dal bianco e nero a giochi composizioni cromatiche più composite. Ultimamente non posso fare a meno del rosa, non a caso l’ultima serie che ho creato si intitola Kissing the pink. Penso che il colore sia per me il mezzo d’espressione di un umore, di uno stato d’animo. In questo momento mi sento molto bene e le mie tele, cromaticamente, lo dimostrano. E poi i rosa mi permettono di esprimere un’innocenza che contrasta con l’erotismo non volgare che rappresento sulla tela. Un colore che non avrei mai pensato di usare è il verde invece da un paio di mesi accosto ai rosa il verde marcio”.

Quando hai cominciato a dipingere avevi un progetto in mente?
“Dipingo da sempre, per piacere personale. Dietro questa passione c’era l’idea di raccontare la mia generazione a modo mio, cioè attraverso dei ritratti che inseguissero i miei coetanei nel tempo. Per farlo, dipingevo sgocciolando i colori sulla tela e cercando di raggiungere un particolare effetto finale. I miei quadri dovevano essere simili a frame. Scorrere i mie quadri significa per me scorrere la pellicola di un film sulla mia generazione”.

Cosa ricordi dei tuoi inizi?
“C’è stata una diffidenza iniziale da parte dei miei genitori. Così diedi loro un ultimatum: se non avessi fatto l’artista avrei fatto il parrucchiere. Alla fine l’ho spuntata e per un certo periodo ho frequentato anche Brera, ma ho capito subito che non era il mio ambiente, non mi piaceva. Così ho mollato e mi sono iscritto al Politecnico, facoltà di Architettura. La mia attività principale era sempre dipingere. Non so immaginarmi un giorno senza il pennello in mano. Non c’è festa comandata, non c’è week end nè vacanza dalla pittura. Dipingo da anni, per me non è un lavoro, non riuscirei a pensarmi in altro modo”.

L’artista deve confrontarsi con il mercato, con le gallerie e non sempre è un ambiente facile. Tu come vivi questa dimensione?
“Essere artisti significa anche sviluppare quelle pubbliche relazioni senza le quali non sarebbe possibile far circolare le proprie opere oltre la cerchia di parenti e amici. Io sono sempre stato prima amico di quello persone che poi si sono rivelate d’aiuto per la mia opera. Certo, non bisogna mancare alle inaugurazioni, alle fiere, insomma, a certi eventi”.

Ancora sul mercato dell’arte, quali sono gli appuntamenti più importanti e in Europa?
“La fiera di Bologna è chiaramente la più importante in Italia, però chi vuole fare arte oggi in italia deve venire a Milano, è qui che si concentra il mercato. Tuttavia il MiArt stenta ogni anno a decollare, nonostante i buoni propositi. Ci sono cambi al vertice di comitati e organizzazioni. In Europa, Madrid e Basilea sono due appuntamenti molto importanti: a Basilea ci sono poche gallerie italiane, quante di reale peso nel mondo dell’arte rispetto alle altre 200?”.

Sei stato in altri paesi a portare le tue opere?
“La mia base è un convento del ‘200, con chiostro e giardino, in Brianza. Mi sposto spesso a Parigi e in America. A livello internazionale purtroppo l’arte italiana non ha un mercato potente come quello inglese, che per esempio può contare su colossi come Saatchi. Dalla Transavanguardia, gli italiani stentano a trovare adeguati riconoscimenti all’estero, a parte Cattelan e pochi altri”.

Cosa non vorresti mai sentire da uno spettatore che sta guardando un tuo quadro?
“Carino!”

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