24th

Luglio

Rosangela Percoco

Che cosa vuol dire essere madri o padri oggi? Rosangela Percoco ha insegnato e fa il copy per numerosi personaggi dei fumetti. Attualmente lavora nell’editoria, tiene corsi di scrittura creativa e dirige il mensile di Lupo Alberto. Ha conquistato i lettori parlando di maternità e di adozione, prestando la sua voce a domande, dubbi, paure, speranze di tutti i genitori che vedono i figli affacciarsi da soli sul mondo. Hai diciott’anni (Sarebbe più facile essere gatti o poeti), edito da Salani, prende come spunto l’adozione per lanciare un messaggio d’amore per la vita. Scopriamolo più da vicino…

Da dove viene questo amore per le parole e dove l’ha portata?
“Mi piacerebbe usare proprio la metafora di Robinson Crusoe, quel naufrago per cui avevo perso la testa da bambina e che mi ha fatto vincere non solo un concorso e una borsa di studio, ma un futuro di studi diverso da quello che mi sarei potuta permettere. E mi piacerebbe dire che è stata una meravigliosa avventura costruirmi i miei strumenti, giorno dopo giorno, su quest’isola della scrittura. Ma sembrerei un bacioperugina e poi la storia d’amore con Robinson è stata bella, ma ormai è finita. La scintilla vera e propria in realtà è scoccata sui banchi della scuola elementare. Un giorno il direttore didattico mi ha chiesto di recitare San Martino, di Giosuè Carducci. … ma per le vie del borgo, dal ribollir dei tini, va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar.” Stop, il direttore mi ferma e mi chiede di ricominciare da capo e continua così finchè non va alla lavagna, e ci scrive sopra maper. Maper? “Maper: è quello che hai appena detto tu” dice il direttore. Eppure non mi sgrida, mi spiega che ho sbagliato, ma che ho anche inventato una parola nuova. In quel momento, in cui sento tre parole mentre ne pronuncio solo due, avverto per la prima volta la magia. Da quel giorno le parole hanno acquistato per me ritmo e senso, velocità e paesaggio.”

Lei ha vissuto veramente una storia simile di adozione? Che consiglio si sente di dare a chi vive un’adozione?
“Come sa non ho scritto manuali sull’adozione e nemmeno sarei in grado di farlo. Ho scritto una storia, dieci anni fa e quasi per caso, in cui raccontavo l’esperienza di un bambino nato da un’altra pancia e al quale ho prestato la mia pancia di “seconda mano”, previa autorizzazione di marito e figlia ovviamente. Non sono riuscita a dare consigli allora, e non riesco a darli oggi. Qualcuno dice di averli trovati, in quel libro come in quest’ultimo, io non voglio fare la falsa modesta ma sono proprio sicura di avere semplicemente raccontato una storia, una storia d’amore, dove ho sperimentato con testa, cuore e pelle le parole del grande Gibran e cioè che i figli non sono nostri, ma del mondo, e che noi possiamo solo essere un tramite di quella crescita che presto li farà volar via da noi. Ecco forse questo direi, predisponiamoci a crescere i figli del mondo. E come al solito scappo via dai consigli e mi infilo nei romanzi, ma la tentazione è sempre troppo forte.”

Cosa spera che possa donare il suo messaggio di amore per la vita?
“Penso che possa donare amore per la vita. È un messaggio che io ho ricevuto in regalo dalla mia famiglia in prima battuta, e poi da molte delle persone che ho incontrato. Non esistono vite di prova o possibilità di replica, in questa vita facciamo tutto in una volta: la prima e le repliche, tentiamo e ritentiamo e sbagliamo e rimediamo, ma non possiamo rifarla di nuovo, non possiamo ricominciarla da capo. Le giornate, le ore, i minuti sono onde, non ce ne sono mai due uguali, vale la pena immergersi sapendo che si è dentro e che quando quest’onda andrà a morire, ne arriverà un’altra, è sicuro, e magari sarà bellissima, ma quella che è appena andata via non tornerà, può solo diventare un ricordo.”

A proposito di Lupo Alberto, ha un messaggio per i più giovani?
“Sognate forte, sognate in grande. I sogni sono grandi o niente. Ecco, poi magari io faccio fatica a vedere grandi sogni in grandi automobili o grandi case o grandi cellulari o grandi firme, ma questa è un’altra storia, non mi piace esprimere pareri senza poterne discutere direttamente con i ragazzi. Non giudico, racconto storie che hanno come protagonisti ragazzi che sognano forte per realizzare sogni grandi, sogni che non ci stanno in un cassetto o in un garage. Durante i laboratori di scrittura creativa all’Università mi capita di incrociarli i grandi sogni, li leggo sulle facce dei ragazzi e in quello che scrivono, che tradotto significa quasi sempre “Io ci sono, guardatemi, ascoltatemi, io sono fatto così e voglio diventare”. È raro che mi capiti di leggere in chi sogna forte cose come “Vorrei la cintura di tizio o la macchina di caio” ops, volevo dire Tizio & Caio.”

Milano è una città con molte pressioni. Come viene vissuto, secondo lei, il rapporto familiare, con sempre meno tempo e in confronto con sciocchi stereotipi da pubblicità?
“Certo, se parliamo di ritmi, non posso che concordare, li vivo quotidianamente e temo di farli anche subire, ai miei figli e a chi condivide il suo tempo con me. Ma credo che quello a cui si riferisce lei non si limiti alle città nevrotiche ma coinvolge piuttosto i rapporti fra genitori e figli, anzi fra persone direi, in ogni mondo-paese. Quello che mi preoccupa dei modelli offerti è questa felicità ottenuta a suon di cereali e Martini, una felicità che naturalmente ha bisogno più di denti finti che di sorrisi veri. I nostri figli cercano di copiare modelli irraggiungibili in quanto a taglie, e verrebbe da dire per fortuna irraggiungibili, ma è in questo continuo vedersi inadeguati che nasce la guerra: a se stessi, al proprio corpo. Purtroppo molti genitori hanno deciso di abdicare, e poi chissà, magari stanno pensando anche loro alle loro inadeguatezze croniche rispetto ai loro modelli cronici…”

Nel suo libro si respira poesia di un tempo passato, come quando parla dei soli due tipi di pasta che aveva da piccola… Oggi dove si può trovare la poesia anche a Milano?
“Sa che io non giurerei sul fatto che la poesia si trova dove sarebbe più facile o evidente trovarla? Io non farei l’apologia del tempo passato soltanto perché è passato e magari perché è mio, infatti ho scritto del senso che aveva per me vedere nel piatto un formato di pasta piuttosto che l’altro, voleva dire che mia madre aveva scelto me quel giorno, che mi voleva bene e che era più comodo intercettare il bene dentro due soli formati di pasta piuttosto che duecento. Tutta qui la poesia, in un formato di pasta, in un orologio finto delle patatine, nelle forbici di una sarta. Per trovare poesia bisogna “accorgersi”, se non ti svegli accorgendoti e non vai a letto che ti stai ancora “accorgendo” di qualcosa, potresti avere un arcobaleno incollato al naso e non riuscire a vederlo.”

Come viene vissuta l’adozione di un bambino da chi è esterno alla famiglia, ma comunque vicino ad essa e dalla società circostante? Quali sono le difficoltà di una famiglia nel tutelare il piccolo nei confronti di ciò che sta attorno?
“Le cose sono certamente cambiate rispetto a vent’anni fa, quando io, mio marito e mia figlia abbiamo scelto di adottare un bambino. Allora qualcuno in paese ti fermava per strada e ti chiedeva il perché. Credo che oggi sia più semplice da un lato, ma questo non significa che con le tante adozioni abbiamo mitigato l’abbandono. L’abbandono è un buco nero che non si può bypassare, bisogna accorgersi che esiste, e per ogni bambino o ragazzo è un’esperienza unica, che va affrontata nell’ascolto continuo e profondo. Ma questo vale per tutti i figli, è qualcosa che ha che fare con il rispetto dell’altro e del suo specialissimo vissuto.”

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