14th

Novembre

Ute Lemper

NOVECENTO SATIN –  E’ il vestito buono, quello scelto da Ute Lemper per accompagnare il pubblico dell’Auditorium di Milano in una passeggiata musicale nelle strade del novecento berlinese. Angels of Berlin, proposto in un percorso a cura del Teatro Franco Parenti chiamato Stranieri, è infatti a sua volta un cammino. Inevitabile che anche gli spettatori più pigri, messi a proprio agio dal fascino e sedotti dalla sottile ironia (e ovviamente non solo), accettassero l’invito seguendo Ute incondizionatamente. Lo strumento principale della malìa rimane ovviamente l’incantevole voce. Accompagnata da un quartetto d’eccezione, la Lemper declina tutto ciò che pertiene ad un’interpretazione musicale del suo viaggio storico con una facilità e felicità impressionanti. Il registro di ogni pezzo è tarato con precisione quasi filologica, la nettezza dell’interpretazione fa sì che risulti tuttavia quasi naturale l’alternanza di musica popolare a pezzi da cafè chantant, normali le incursioni nello swing.

CHEWING GUMS FOR KISSES – E’ soltanto uno dei baratti che vi verranno proposti qualora accettiate di sedervi tra le schiere, inevitabilmente adoranti, degli spettatori di un concerto di Ute Lemper. Una volta prede del sortilegio Lemper, eccoci condotti senza soluzione di continuità su e giù per i meandri della società berlinese: gli scenari mutano velocemente quanto i generi musicali. Invitati nei salotti bene, in sale da concerto, possiamo immaginarla l’ipotetica fila degli spettatori: spinti dalla narrazione ora su una soffitta, ora ricacciati di nuovo in strada senza poter sfuggire al percorso indicato. Anche il potere critico del pubblico è totalmente veicolato sulle vie berlinesi, tanto da sembrare di non poter più funzionare in termini metariflessivi. L’anima è ormai perduta. 
 
BLACK MARKET – Se l’antitesi è sovente il metro dell’analisi storica, in Angels of Berlin alla Lemper bisogna riconoscere il merito d’aver indivuato nell’ironia una miccia per innescarla più che felicemente. C’è questo nel ricorrente coraggio alla deinstituzionalizzazione, cui giunge sia quando si parli di presente quanto di passato. Se Bush e Brecht finiscono dentro la stessa risata, in bocca non potrà che rimanere un residuo d’amaro, e il dubbio che la sua entità sia proporzionale alla propria affezione ad una visione convenzionale della storia.  Allo stesso modo l’affascinante cantante berlinese non esita a scambiare la sua bellezza per un attimo di grottesco, prestando il proprio volto ai personaggi d’ogni sorta togliendo allo spettatore anche l’ultimo canone attendibile (escluso quello musicale, beninteso) rimasto.

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