22nd

Settembre

Teatro Jannacci

Enzo Jannacci lo sapeva fin dagli inizio della sua carriera che il mondo non era pulito come vogliono farci credere, ma c’è pure chi è destinato a diventare il cantore degli emarginati e dei diseredati. Enzo Jannacci lo aveva capito più di trenta anni fa che una canzone cantata in dialetto milanese avrebbe potuto far impallidire persino i parigini con la puzza sotto il naso che bighellovanano nei caffé di Saint Germain alla ricerca disperata dei Brassens, dei Ferré o dei Vian.

Alla veneranda età di 70 anni, il cantautore milanese continua ad emozionarci senza mezze misure sulla scia della riflessione intelligente. Teatro Jannacci, il suo nuovo spettacolo che ha aperto la stagione del teatro dei Filodrammatici, ha raccolto per l’ennesima volta ulteriori consensi. Jannacci canta la disperazione tra parole farfugliate a metà, facendo acrobazie tra lunaticità e surrealismo. Questa volta però in dialetto milanese per affrontare un incontro musicale dove, accompagnato da musicisti fuoriclasse (primeggia il figlio Paolo al pianoforte), ritrova vecchie canzoni della sua Milano in bianco e nero che oramai è seppellita. La Milano che amava pensare e che rivive in piccoli tasselli musicali di un percorso artistico sorprendente.

Così la scaletta si guadagna l’applauso del pubblico con piccole gemme come la provocante “El me indiriss”, la dolce “Chissà se è vero”, la romantica “Per un basin” o l’istantanea fotografica nascosta nella filigrana di “Andava a Rogoredo”  o “El purtava i scarp del tennis”. E quando la semplice scenografia si tinge di blu quasi picassiano, arriva il momento più emozionante: Jannacci omaggia la memoria del padre con l’intensa “6 minuti all’alba”: “Vott setember sunt scapà, u finì de fa el suldà, al paes mi sunt turnà, disertore m’han ciamà”.

Alle canzoni si alternano alcuni monologhi, tratti dal libro introvabile scritto a più mani con Eco e Viola “No, tu no” che sguinzagliano lo Jannacci più in forma tra humor, riflessione e amarezza: dalle pagine di “Tokio” all'”Everest” per passare alla fine grottesca di “un camionista”. Conclusione a sorpresa con una versione aggiornata di “Quelli che…” e con un assolo dei bravissimi Stefano Bagnoli (batteria), Daniele Moretto (tromba), Giorgio Cocilovo (chitarra) e Marco Ricci (contrabbasso). Ha ragione Paolo Conte quando, nell’introduzione allo splendido cofanetto Enzo Jannacci Parole e Canzoni (Einaudi, Libro + DVD) scrive: “La sua figura si staglia gigantesca sul fondo come quella dell’iniziatore, condensando in sé l’energica urgenza di ogni stile passato, presente e futuro”.

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