13th

Dicembre

Fragments


Nessuna frase cade morta sul selciato beckettiano: ogni atto è seguito da una parola la cui intensità è massimale, sino a svuotarsi completamente di significato. Peter Brook porta al Piccolo Teatro cinque scene sull’impossibilità di comunicare e vivere il presente, attraverso Fragments di Samuel Beckett, proposto in lingua inglese con sottotitoli in italiano.

UOMINI IN BALIA DEL NULLA – Lo scrittore irlandese Samuel Beckett è stato spesso saccheggiato, grazie ai numerosi testi teatrali, interpretati  con la convinzione che l’assurdità della parola fosse l’impasse fondante di un intero spettacolo. Beckett però è naturalmente molto altro, e riportarlo in scena nudo e crudo, come lo stesso autore cercava di fare obbligandosi nel perfezionismo, è un’impresa non facile. Peter Brook colonna del teatro inglese, attinge a lavori teatrali di Beckett, la cui brevità rimane ambigua per il teatro. Il risultato è una schiacciante verità spuria da ogni nichilismo costretto, e viva nella realtà dove gli uomini ripetono all’infinito gesti inutili, il tempo lascia i segni sul corpo e i rapporti umani sono ancore che bloccano a terra per l’eternità. Intorno niente continua, nulla si ricorda di noi.

IL SORRISO A DENTI STRETTI – Cinque scene che dalle gag alla Keaton di due barboni, al dondolio ipnotico e folle di una giovane donna improvvisamente vecchia, agli opposti di pessimismo e ottimismo in due uomini amici, allo smarrimento fra porte che si chiudono e momenti che fuggono, fino all’esilarante monologo a vuoto di tre anziane, la risata a denti stretti giunge. Desolazione e vecchiaia arrivano sul pubblico con l’energia necessaria, le parole  si fanno pesanti prese di coscienza velate da un’assurdità che porta alla risata. La vita e il suo corso sono prese di mira dall’ironia tagliente di Beckett, e Brook è abile nel rendere sempre più nudo il testo e la scena, per concentrare l’attenzione sull’immediatezza delle scaglie che sono i Fragments.

TRE CARATTERI – Il trio di attori che compone le cinque sequenze, raggiunge un’intensità rara nel teatro contemporaneo. La coppia maschile, formata dal belga Jos Houben e dall’italiano Marcello Magni, trova l’alchimia giusta per trasmettere la noia nelle ossa e l’irritante sentore di prigione, tipico dei clochard beckettiani spaventati dal meta luogo. Kathryn Hunter, newyorkese di origine greche cresciuta a Londra, è l’interprete femminile da brividi che in Rockaby, ossessiva litania di una vecchia su un dondolo, strega con occhi fuori dal comune ed una voce che segue l’ondeggiare infinito del dondolo. Fra il ridere della condizione umana, il cuore si sente perso di fronte ad una realtà così concreta messa in scena da Brook, e in brevissimo tempo, la crudeltà è svelata.

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