18th

Maggio

Ray Barretto

“I like very much latin jazz” mi rispose Gerry Mulligan in un’intervista di molti anni orsono. Ma a quale domanda? Ve lo spiego dopo!
Prima vi devo spiegare due cose su Ray Barretto, poichè i  critici non spiegano mai niente. un pò perchè lo danno per scontato e un pò perchè copiano da internet.
Innanzi tutto Ray Barretto non è un “conghista” come scrive un giornale di mercoledì scorso. Il vocabolario italiano non contiene la parola “conghista”. Il suonatore di conga , tamburi alti circa 80 centimetri che si suonano con le mani, si chiama “conguero” oppure “congacero”. Per non sbagliare diciamo  che Ray Barretto è un percussionista che suona le conga. Su internet si possono acquistare 34 tipi di percussioni afro cubane. Quelle fondamentali sono  tre: conga, bongo, timbale.
In secondo luogo devo chiarire che Ray Barretto suona “latin jazz” e che il latin jazz non è stato inventato dai Romani e che ha ben poco a vedere con i balli latino-americani.
Il latin jazz, come l’acid e il funk, è una delle tante mutazioni di ciò che chiamiamo jazz. Una miscela di accordi nord americani abbinati a ritmi cubani e  caraibici e sud americani. Il latin jazz è esploso negli anni cinquanta grazie a compositori e band leader come Chano Pozo, Tito Puente e Mongo Santamaria. Tutti percussionisti. Tutti nati a Cuba tranne Tito Puente.
Se consideriamo che Ray Barretto ha preso il posto di Mongo Santamaria nella band di Tito Puente e se consideriamo che Tito Puente e’ il compositore di  “Oye Como Va” il pop hit di Santana, possiamo affermare che Ray Barretto ha un posto nella musica del XX secolo.

Arrivo alle 9 e 15. Fatico a trovare parcheggio. Il locale è pieno. Sul palco sono già in sei. Cinque bianchi e uno nero. Ray seduto al centro con quattro conga, tre bianche e una color legno non dimostra i suoi 76 anni.  Dopo il primo brano presenta tutti. Ci sa fare. Suona concentratissimo. Come se dovesse trovare il groove.
Si capisce subito che la band c’è. Due minuti per dimostrare che ci sei e due ore per confermarlo. Lo diceva Art Blakey. Il ritmo è così penetrante che quasi non riesco a scrivere. Non conosco i titoli dei brani. Ma che importa? I musicisti sono giovani e suonano progressive. I due fiati, sax e tromba,  suonano dissonante rendendo il tutto maledettamente attuale. Decisamente post davisiano e post coltraniano. Più modern rispetto alle band di Tito Puente. In un brano di Monk dimostrano di saper swingare alla grande. Ray, dopo essere stato più band leader che percussionista, nel finale  ci concede un solo. Fa anche alzare le conga da terra.

Niente bis. Forse i 76 anni si sentono. Ray deve riposarsi prima del secondo set.
Se non potete venire al Blue Note andate a comperarvi un CD di Tito Puente con “Oye Como Va”, uno di Mongo Santamaria con Watermellon Man e il CD            “Indestructible” di Ray Barretto. Non ve ne pentirete. Suonano benissimo anche in auto e potrete dire di conoscere e amare molto il latin jazz.

PS. La domanda rivolta a Jerry Mulligan era “Ti piace la musica italiana”? La risposta è stata “Amo molto il Latin jazz”.

di Virginio Bertone

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