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Marzo

Stefano Grandi

Nella sua cucina, la nuova e la vecchia Milano si incontrano con disinvoltura ed equilibrio. Proprio come nel quartiere dove si trova il suo ristorante, Il Santa Bistrò. Affacciato su Piazza Città di Lombardia, dove l'architettura audace e avveniristica racconta il futuro che sarà.

Classe 1978, Stefano Grandi ne ha viste di cose. Meneghino, padre veneto e madre siciliana, parla delle sue avventure professionali con la consapevolezza di chi sa cosa significhi lavorare nel mondo della gastronomia.

“Ho iniziato presto, avevo 16 anni”, spiega. “Ci sono esperienze che mi hanno insegnato tanto: come stagista dallo stellato Aimo e Nadia ho capito che tutto è possibile, con Paola Budel al Principe di Savoia ho imparato molto e in qualità di executive chef al Gran Visconti Palace ho provato una grande emozione, avevo solo 25 anni”.

Stefano si è confrontato anche con l'estero. Ha vissuto in Lettonia, dove ha aperto alcuni ristoranti. È stato consulente di prestigiosi brand e ha curato il concept creativo di diversi progetti di catering.

Tre aggettivi per definire la sua cucina? Genuina, italiana e gustosa. Lui, che da bambino guardava la nonna cucinare e diceva “Vorrei diventare come Gualtiero Marchesi”, oggi è un vulcano di idee food. Lo abbiamo incontrato per conoscerlo meglio.

Un ritratto di Stefano Grandi, nella sua cucina

Un ritratto di Stefano Grandi, nella sua cucina

Tante esperienze in luoghi diversi. Dove ti senti più a tuo agio?

“Sicuramente qui al Santa. È un luogo che sento mio, sia perché sono socio sia perché lo abbiamo concepito con l’idea di dare a Milano un posto diverso dal solito, una location versatile e proiettata verso il futuro. Uno spazio aperto a tutti, dal ragazzo modaiolo alla super manager”.

L’idea di fare qualcosa per tutti in Piazza Città di Lombardia è una scelta emblematica. Il contesto ha influenzato la proposta gastronomica?

“Non ha influenzato la cucina, ma il mood sì. Una realtà come questa, aperta da mattino a sera, dovrebbe rappresentare il futuro. Quando ho visto lo spazio ho detto Wow! Qua c’è il futuro! E poi è bello il contrasto che si viene a creare mangiando uno zabaione al Marsala, simbolo della tradizione per eccellenza, ai piedi del grattacielo più alto d’Italia”.

Già. Tra l’altro hai inserito in carta anche un menu degustazione tutto lombardo…

“Sì, ci sono molti piatti del territorio da riscoprire: un omaggio al Palazzo della Regione che ci ospita e a Expo 2015, ormai alle porte. Faccio molta ricerca sugli ingredienti locali, mi piace proporre una cucina tradizionale rivisitata in chiave creativa, prestando sempre molta attenzione alla stagionalità dei prodotti”.

A proposito, tre ingredienti del cuore?

“Il baccalà, per le mie origini venete; il polpo, perché mi piace e lo uso spesso in ricettazione; il riso, perché assieme alla maionese è uno di quei prodotti che, se preparati bene, ti fa capire se un cuoco è bravo o meno”.

Qual è il piatto che più ti rappresenta in questo momento?

“Il maiale porchettato, perché ha una cottura particolare. È cucinato a bassa temperatura, quindi è molto tenero, ma in un secondo momento viene passato sulla plancia, in modo da farlo risultare più croccante. E poi c'è il tocco agrodolce della riduzione con zucchero di canna, che adoro”.

Quale ingrediente sceglieresti per rappresentare la nuova Milano?

“Sicuramente il riso, perché è un prodotto importante e tipicamente lombardo che si presta a tante preparazioni. Con il riso puoi fare di tutto ed esistono tante varietà: dal carnaroli al riso venere, di cui siamo il primo produttore al mondo”.

E se Milano fosse un piatto?

“Sarebbe una vellutata di verdura stagionale, una portata molto raffinata. Proprio come la nostra città, che negli anni si è evoluta restando una grande protagonista, dalla Milano da bere a quella contemporanea. Con una costante: l'eleganza”.

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Il “maiale porchettato” by Stefano Grandi, con rape, coste e cime (ph. Mariarosaria Bruno)

Sì, Stefano conosce proprio bene Milano e i suoi ritmi. Tanto che tra le novità della sua variegata carriera c'è l'idea di tenere dei corsi di cucina a domicilio. Come è nata? “Tutti i clienti mi chiedevano sempre: quando mi insegni qualcosa? Ma in una città così frenetica è difficile stabilire un giorno che metta d'accordo tutti. E così, ho pensato di organizzare i corsi direttamente a casa degli interessati”.

Come funziona? L'ideale è costituire un gruppo fra le quattro e le otto persone e scegliere un tema, dagli appetizer alla cena a base di pesce, dai risotti alle paste. E il gioco è fatto. Si preparano assieme allo chef quattro portate e alla fine si mangia tutti insieme. Come in un social eating.

Un consiglio: non perdetevi la buiabes, la sua zuppetta di pesce alla marsigliese con sentori di Pernod e zafferano o il risotto giallo con uovo di quaglia e buccia di limone. Un elegante e originale inchino a Milano.

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