5th

Novembre

Saba

Ha una storia dolorosamente particolare questa voce forte e delicata che si chiama Saba, figlia di un italiano e di un'etiope, cresciuta in Somalia e costretta a lasciare casa in tenera età, senza che ciò le impedisse di portare nel cuore (e sulla pancia) l'amore per quel paese oggi martoriato da guerra e sangue. Ha appena pubblicato il suo primo album Jidka. The line (Euro 18,90) per Music Word Network, dove Occidente e tradizione africana si incontrano nei temi e nelle sonorità. Ma lasciamo che sia lei a spiegarci meglio.

Un folto gruppo di musicisti ha lavorato all'album con te, come vi siete incontrati?
“Fabio è il deus ex-machina di tutta l'operazione, lo considero il regista della mia anima in musica, ha sputo cogliere e offrire spunti e rielaborarli in maniera creativa. Insieme abbiamo raccolto attorno a noi musicisti di grande esperienza, con un loro specifico umano e soprattutto musicale indispensabile per creare il sound meticcio dell'album.”

Nel disco emergono nostalgia e speranza, dolore e senso di gratitudine per la vita, in mezzo a questi stati d'animo contrastanti. Tu come sei realmente?
“Anche in questo caso devo parlare di linea, che unisce i sentimenti e gli stati d'animo conflittuali. Certo a volte vivo un ripiegamento nostalgico, perché comunque il passato ci costruisce come individui, ma la mia musica è anche un inno alla vita, un invito a proiettarsi sempre in avanti. Si sta appunto su una linea tra questi sentimenti, qualche volta ci si sbilancia da una parte e poi si torna di nuovo in equilibrio.”

In Jidka ci sono due tracce che parlano di donne che lasciano la loro terra, I Sogni e Melissa,  uno all'inizio dell'album e l'altro alla fine, è un caso?
“Questo è un disco molto legato alle donne. C'è anche una canzone che parla proprio di mia nonna, madre di nove figlie, di cui sette femmine. Volevo indagare il mio lato più femminile attraverso la musica dopo una fase della mia vita più razionale e maschile. Hoio e Melissa parlano di due donne che lasciano la loro città. Wanna e sogna una vita migliore ma si scontra con le difficoltà, Melissa attraversa a piedi nudi il deserto, in un viaggio massacrante. Questo succede ancora oggi.”

Ed è motivo di rabbia e dolore, che cosa puoi fare da qui per la tua terra?
“Cerco di impegnarmi come posso, ma soprattutto voglio dare un'immagine diversa della Somalia rispetto a quella che ci hanno fatto conoscere i media. Racconto la Somalia della pace, cercando di dare un messaggio di positività. Ecco, Jidka si colloca su questa lunghezza d'onda.”

In Je suis petite racconti di come ti senti piccola davanti alla crudeltà del mondo, come ti aiuta la musica a uscirne?
“La musica è comunicazione, parla un linguaggio di mescolanza e testimonia che una solidarietà è possibile. Dopotutto il messaggio di positività che l'album vuole portare arriva effettivamente alla gente, nonostante canti in somalo, una lingua non accessibile a tutti. La diversità linguistica però non è limitante, è solo una linea in più da attraversare.”

Il disco è stato prodotto dalla World Music Network, un'importante etichetta internazionale che ha investito su di te dal primo album: ti senti sotto pressione?
“Sì, ma è una pressione che sono felice di portare. La casa di produzione mi ha lasciato molta libertà fin dall'inizio del progetto, segno di fiducia, perciò la responsabilità di dividere la stessa etichetta con grandi artisti mi fa accettare di buon grado anche la pressione.”

Hai prodotto parte del tuo disco a Torino, che impressione ti ha fatto la città?
“E' una città culturalmente vivace e musicalmente per me è stata una sorpresa. Negli anni Novanta qui si sono fromati i Mao Mao, veri antesignani del genere di musica che faccio io”.

Sei laureata in Storia dell'Arte, hai lavorato in case editrici, poi hai recitato (nella serie tv La squadra), hai fatto la doppiatrice: nel futuro cosa ci sarà?
“Chi lo può sapere? Per ora il progetto musicale ha la priorità, poi mi piacerebbe dare un sequel al mio primo lavoro, ma non mi precludo altre vie come la recitazione. Ad agosto ho finito di girare un film indipendente e poi non rinnego certo la televisione, anche è un mezzo a doppio taglio: ha un grande potere ma spesso serve la solita ribollita mista di ciò che va di moda. Perché non usare uno stratagemma alla cavallo di Troia? Lavorarci all'interno per cambiarla un po'.”

Comments are closed.