14th

Ottobre

Raccolto e cucinato. In una parola? Foraging

Se qualcuno vi dicesse che per cena ha preparato un brodo di bosco, un risotto al larice e delle foglie di bardana caramellate, cosa pensereste? Che lo chef è David Gnomo o che vi stanno prendendo in giro. E invece no. Si tratta di foraging, l'ultima tendenza food che vede protagonisti i figli di selve e conifere, di prati e cespugli. Ai fornelli non c'è un personaggio di fantasia, ma una giovane donna di Lissone, Valeria Margherita Mosca. Ninfetta che svolge un'attività che profuma di fiaba, capace di individuare frutti selvatici e piante commestibili da raccogliere e cucinare. All'attivo? Ha una laurea in conservazione dei beni culturali con indirizzo in antropologia, una grande passione per il food, l'esperienza in brigate importanti come quella dello stellato Giancarlo Morelli del ristorante Pomiroeu di Seregno e l'ideazione di wood*ing, laboratorio di ricerca multidisciplinare nato con l'intento di indagare le infinite potenzialità del cibo spontaneo. Per lei la natura non ha più segreti.

RITORNO ALLE ORIGINI – Il termine foraging indica l'attività di recarsi in ambienti naturali e incontaminati per raccogliere cibo selvatico, ovvero vegetali o parti di essi utili al nutrimento umano. È una pratica dalle origini antiche, se ci pensiamo. “Nei secoli scorsi era un'abitudine quotidiana, la gente usava erbe, piante e frutti spontanei per cibarsi, ma con l’industrializzazione di fine ‘800 è andata scomparendo e, per tutto il ‘900, ce ne siamo dimenticati”, precisa Valeria. E oggi? Èstata portata in auge da grandi cuochi nordici come René Redzepi del Noma di Copenhagen (primo al mondo secondo la classifica World's 50 Best Restaurants) o dallo svedese Magnus Nilsson del Fäviken Magasinet, mentre a livello popolare è molto diffusa nei Paesi anglosassoni, in Gran Bretagna e negli States. In Italia? Il foraging comincia a essere abbracciato con entusiasmo da alcuni chef. “Per il ristorante di Morelli a Seregno raccolgo io stessa alcuni prodotti, mentre spostandoci in altre regioni troviamo piatti a base di cibo selvatico al Povero Diavolo di Pier Giorgio Parini a Torriana, a La Multa Bianca di Minnena Stangoni a Badesi in Gallura e da Fabio Moriconi a Fiuggi”, racconta.

FORAGING STYLE – Oltre a essere un'attività del tutto eco-sostenibile, il foraging ha i suoi vantaggi. Una volta che si sono apprese le tecniche di riconoscimento dei vegetali commestibili, poi, fa anche risparmiare e stimola la creatività gastronomica. “Si scoprono ingredienti sconosciuti, si prova il piacere della caccia etica, si comprende la storia e la relazione fra il cibo e la nostra esistenza, ci avviciniamo alla terra”, commenta Valeria. E aggiunge: “Se consideriamo il mangiare un atto intimo, procacciarsi cibo selvatico è il miglior modo per entrare in rapporto con la natura e gli ecosistemi”. Rispetto per alberi e piante, dunque, ma anche piacere della tavola. Ecco allora foglie di faggio fritte o all'insalata, sciroppi con linfa di betulla aromatizzata al sambuco, risotto al cipresso, gelato all'acetosella con biscotti di farina di sussistenza a base di corteccia essiccata e frullata, pane ai licheni, fiori di achillea caramellati, brodi balsamici al pino mugo e ricette aromatiche con bacche di biancospino e frutti di rosa canina. Troppo azzardato? Provate a trovarvi di fronte a una scatola di foglie caramellate: delicatamente dolci, fragranti, leggere e salutari. Le foraging-chips del futuro.

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